SolarSpots

Le Macchie Solari

Le macchie sono il fenomeno più evidente dell'attività del Sole: si possono osservare facilmente, anche con strumenti di modeste dimensioni e le più grosse sono spesso visibili persino ad occhio nudo. L'osservazione delle macchie solari, visto che compaiono sulla fotosfera, la "superficie visibile" del Sole, non presenta alcuna difficoltà, anche con un semplice binocolo. Diverso è il discorso del conteggio delle macchie, che richiede molta pazienza, strumenti adatti e stabili ed abilità grafiche, visto che il sistema più usato nel mondo è quello del disegno della fotosfera. Disegno che si esegue su un immagine del disco solare ottenuta in proiezione attraverso strumenti ottici, o con l'osservazione diretta della stella a patto di utilizzare le opportune protezioni per gli occhi. Riguardo questo, prima di proseguire il discorso sulle macchie è quanto mai opportuna una parentesi sulla sicurezza: voglio ribadire anche qui quanto già detto nella pagina relativa al Sole: l'osservazione diretta del Sole attraverso binocoli, telescopi o il semplice "fissare il Sole" ad occhio nudo è una cosa pericolosissima e va assolutamente evitata. Proiettare il disco solare su un supporto bianco qualunque, anche un semplice cartoncino è assolutamente sicuro, ma vi garantisco che anche in questo modo se non vi proteggete bene gli occhi una sensazione di accecamento temporaneo prima o poi non ve la toglie nessuno, specialmente quando il Sole è alto nel cielo nelle giornate molto luminose e rientrate in un ambiente chiuso dopo aver osservato la stella. Bisogna anche diffidare di certi aggeggi che sono in circolazione, come i piccoli filtri solari che si avvitano sugli oculari dei telescopi: questa roba non dovrebbe nemmeno essere messa in commercio (oltretutto costano poco, quindi si è invitati ad acquistarli) e se ne avete uno datemi retta, spaccatelo e buttatelo via prima che vi venga la tentazione di usarlo. Essendo molto vicini all'occhio gli mandano dentro un sacco di radiazione e di calore e, se dovessero rompersi (cosa che spesso succede), il malcapitato osservatore potrebbe non fare in tempo ad allontanare l'occhio dall'oculare senza aver subito danni anche gravissimi. Di fatto assolutamente sicuri (ma più costosi decisamente) sono i filtri solari a tutta apertura, cioè quelli che si posizionano per così dire "all'ingresso" del telescopio, filtrano la radiazione prima che arrivi nell'oculare riflessa dagli specchi e concentrata dalle lenti e sono quelli che possono essere usati per l'osservazione diretta. Sono da evitare assolutamente anche tutti quei rimedi "casalinghi" spesso usati per osservare le eclissi, tipo vetri affumicati sul fuoco, bacinelle d'acqua con il fondo scuro nelle quali osservare l'immagine riflessa del Sole ed altre diavolerie. Magari tolgono la luce, ma non filtrano certo la radiazione ultravioletta (ed anche altre frequenze alte dello spettro), vero e proprio killer invisibile delle cornee e delle retine. Gli occhiali scuri, quelli cosiddetti da sole, eliminano i riflessi (se le lenti sono costruite con filtri polarizzatori), abbassano l'intensità della luce, ma anche qui in quanto a radiazione assorbita andiamo male. Più consigliabili i cosiddetti "occhialini da eclisse", costruiti con materiali sintetici (come il Mylar, lo stesso che viene usato anche per i filtri a tutta apertura), poco eleganti di sicuro visto che sono montati su cartone, ma decisamente economici (2-3 euro) anche se un po' difficili da reperire in commercio. Se non si possiede una certa esperienza di osservazione diretta ( anche per la manutenzione e l'eventuale sostituzione dei filtri a tutta apertura) è quindi consigliabile operare sempre e soltanto in proiezione, proteggendo gli occhi con un buon paio di occhiali da sole con lenti polarizzate e certificate con il marchio Ce.

Terminata questa lunga ma doverosa predica, torniamo alle nostre macchie solari. Innanzitutto è bene dire che, pur apparendo scure (infatti si chiamano macchie), sono in realtà molto brillanti e se si potesse eliminare (idealmente, chiaro) il resto della fotosfera le vedremmo luccicare fortissime nel cielo nero. Infatti le macchie solari sono zone della fotosfera a temperatura decisamente più bassa del normale (intorno ai 4000 - 4500 K in media), quindi appaiono scure solo perché sono in contrasto con uno "sfondo" molto più luminoso di loro. Né più né meno come noi ci accorgiamo delle schifezze (macchie, ditate, impronte del gatto) che abbiamo sul parabrezza dell'auto non certo quando siamo al buio dentro una galleria, ma quando siamo contro la luce del Sole o quando incrociamo i fari di un altro veicolo. Ora di certo però vi chiederete quali siano le cause di questo fenomeno, osservato già nei tempi remoti dell'umanità, note agli astronomi greci e riscoperte in tempi per così dire più recenti, dopo l'invenzione del telescopio da parte di Galileo Galilei nel 1611. Ebbene, alcune spiegazioni appaiono oggi molto bizzarre e ci fanno decisamente sorridere: alcuni pensavano che si trattasse  di pianeti interni all'orbita di Mercurio, altri che fossero "montagne" che si innalzavano sopra la fotosfera. E mica tutti questi signori erano degli inesperti faciloni: lo stesso Galileo attribuiva alle macchie l'ipotesi che fossero nubi, mentre il grande astronomo William Herschel le spiegava ricorrendo a buchi nella superficie del Sole, che potevano essere dei "passaggi" verso zone più interne ed addirittura abitabili. Inutile dire che qualcun'altro ha tirato in ballo spiegazioni ancora più pittoresche, come tracce lasciate sul Sole da qualche drago di passaggio o da veicoli di alieni (questi non mancano mai quando non si sa che pesci pigliare). Chiaro che la ragione delle macchie deve avere delle basi più solidamente scientifiche, ed infatti è così.

L'origine delle macchie va ricondotta al campo magnetico del Sole, che ha una "struttura" piuttosto complicata e decisamente poco uniforme nel tempo e nella stella stessa, visto che il il Sole è fatto di plasma (gas ionizzati) e non è un pezzo di ferro calamitato. Semplificando al massimo il discorso, e rimandando alla sezione Approfondimenti per qualche notizia più dettagliata, diciamo qui che la macchie solari derivano da alterazioni locali del campo magnetico del Sole, che "erompe" alla superficie creando delle strutture locali dipolari che sono le macchie. Le più recenti teorie ritengono che il ruolo  del campo magnetico sia quello di limitare i moti convettivi all'interno delle macchie, che risulterebbero quindi più fredde (o per meglio dire, meno calde) per la diminuita efficacia del trasporto di energia rispetto al resto della fotosfera. E' come se il plasma di cui è costituita la stella si comportasse alla stregua di un mezzo "termicamente isolante". A sicura dimostrazione che il campo magnetico del Sole e le macchie siano strettamente correlati disponiamo dei cosiddetti magnetogrammi, una sorta di "mappe magnetiche" del Sole, dove vengono evidenziate le cosiddette Regioni Attive, che appaiono come zone chiare e scure vicine: la parte chiara rappresenta per così dire un "polo", mentre l'altra quello opposto. Anche se non sempre una Regione Attiva presenta delle macchie in fotosfera, quando queste sono presenti appaiono sempre in corrispondenza delle Regioni Attive. Gli intensi campi magnetici presenti nelle macchie possono essere rilevati anche grazie al cosiddetto "effetto Zeeman", una cosa un po' complicata da spiegare qui, ma che consiste essenzialmente nella presenza di frequenze di luce per così dire "aggiuntive" nello spettro della radiazione solare, che non possono essere spiegate senza ricorrere ai campi magnetici. Sul sito di SDO (ma non solo su quello) vengono pubblicati giornalmente immagini dei magnetogrammi del Sole, dai quali si estraggono i dettagli precisi delle variazioni di campo magnetico che sempre accompagnano le macchie solari.

Le macchie possono essere estremamente piccole (al punto che a volte non vengono classificate nemmeno come tali, ma semplicemente indicate come "pori", quando le loro dimensioni vanno dai limiti di risoluzione degli strumenti ai 2000 - 3000 Km. al massimo) o addirittura enormi: le loro dimensioni medie sono calcolabili intorno ai 10000 Km. ma ne sono state osservate di grandissime, anche di 150000 Km. o più. Come dire che una macchia di queste potrebbe ospitare al suo interno diversi pianeti grandi come la Terra. La regione nera e scura dell'interno delle macchie è chiamata ombra e la frangia più luminosa (o per meglio dire meno scura) che spesso le circonda, soprattutto nel caso di quelle più grandi, è detta penombra. Le macchie persistono per vari giorni sulla fotosfera e sono sempre organizzate in gruppi, dalla struttura spesso complessa ed articolata. Si presentano sia nell'emisfero Nord che in quello Sud della stella ed hanno velocità di migrazione diverse a seconda che siano più o meno vicine all'equatore dove, non dimentichiamo la rotazione differenziale della nostra stella, il Sole ha un periodo di rotazione minore che ai poli (cioè gira più rapidamente su stesso all'equatore che ai poli, però limitatamente alla cosiddetta zona convettiva: al di sotto di questa ruota come un corpo rigido). Quando le macchie si avvicinano al bordo del Sole la loro osservazione permette di chiarire che sono depressioni nella fotosfera e non elevazioni su di essa: infatti nei pressi del bordo il lato di una macchia più vicino all'osservatore tende a scomparire, mentre quello opposto continua ad essere osservato, anzi aumenta di dimensioni: questo fenomeno è noto come Effetto Wilson. Solo ricorrendo all'effetto Zeeman citato in precedenza è infine possibile dare conto e spiegazione di piccole strutture di macchie ai limiti dei poteri di risoluzione anche degli strumenti più potenti, detti "nodi magnetici" (magnetic knots).

Quello che ci preme di più per ora in questa sede è capire come si possono osservare e classificare macchie e gruppi. I primi a proporre un sistema metodico, scientifico ed organizzato sono stati gli astronomi della Scuola di Zurigo, con il loro capostipite Rudolf Wolf, che nel 1848 propose il calcolo di un indice dell'attività fotosferica del Sole che, seppur con qualche aggiustamento e variazione, ancora oggi è usato nella comunità scientifica. Si tratta del cosiddetto Numero di Wolf, che si ottiene dalla semplice formula:

Rz = Kc(10G +F)

dove G rappresenta il numero totale di gruppi osservati, F quello totale di macchie presenti (somma di tutte quelle rilevate per ogni gruppo) e Kc è un coefficiente correttivo dipendente dall'osservatore, dal suo "entusiasmo" ( o se preferite dal suo pessimismo) nel contare macchie e gruppi e dallo strumento impiegato. Fino alla metà degli anni 80 i numeri di Wolf calcolati da osservatori accreditati venivano raccolti ed elaborati a Zurigo, mentre ora se ne occupa il SIDC di Bruxelles, il quale attribuisce il coefficiente Kc ad ogni osservatore come una sorta di "fattore di normalizzazione" in rapporto ai dati ottenuti da tutti gli altri. Nella sezione Approfondimenti è presente un documento che spiega come fanno "quelli del SIDC" ad elaborare i numeri di Wolf ed attribuire i coefficienti Kc agli osservatori accreditati. Oggi molti osservatori contano separatamente le macchie ed i gruppi che compaiono nell'emisfero Nord e Sud del Sole, calcolando due diversi numeri di Wolf, Rn ed Rs, relativi ai due emisferi, per poter elaborare dati statistici più fini sull'andamento delle macchie. Ovvio che alla fine Rz non è altro che la somma di Rn ed Rs, ma statisticamente il calcolo separato è molto importante ed ha molte ragioni per esistere, non solo per la statistica ma anche per la Fisica Solare, per capire cosa determini la distribuzione delle macchie negli emisferi. In tempi relativamente recenti è stato introdotto un altro indice dell'attività solare, chiamato GSN (Group Sunspot Number) che però è un po' più complicato da calcolare e quindi qui non ci interessa. Esistono poi indici, cosiddetti indiretti, che si basano sugli effetti prodotti dall'attività solare sulla Terra e sugli altri pianeti (effetti geomagnetici / eliosferici). Una trattazione completa in questa sede non è assolutamente necessaria e la rimando alla letteratura specializzata o a documenti reperibili negli Approfondimenti del sito.

Quello che si evince dall'analisi dei Numeri di Wolf (e di molti altri indici diretti ed indiretti), oltre che dalle annotazioni degli astronomi andando indietro nel tempo è che l'attività del Sole è praticamente ciclica: ogni 11 anni circa alterna un minimo ed un massimo (con conseguente variazione del numero di Wolf), anche se questa regolarità non sempre è stata così evidente: è famoso il cosiddetto minimo di Maunder, nome dato ad un periodo che va dal 1645 al 1715 circa, dove le macchie praticamente non furono quasi osservate. Prende il nome dall'astronomo E.W. Maunder, che pur vissuto più tardi scoprì che in quel periodo, e segnatamente durante 30 anni al suo interno, gli astronomi dell'epoca riuscirono ad osservare solo 50 macchie, contro le normali 40000 - 50000. Ne approfitto qui per dire che Maunder ha dato il nome anche ad un particolare diagramma, detto "a farfalla", dal quale si evince come le macchie tendano a "migrare", nel senso della posizione in cui si manifestano, verso l'equatore del Sole partendo dalle zone vicino ai poli, durante un ciclo di attività (Legge di Sporer). Difficilmente comunque si osservano macchie oltre una certa latitudine, anzi sono rarissime vicino ai poli. A voler essere più precisi, questa periodicità ha un periodo doppio e segue quelle che in Fisica Solare sono conosciute come "Leggi di Hale". Infatti in ogni ciclo (inteso di 11 anni) le Regioni Attive dell'emisfero Nord e quelle dell'emisfero Sud, pensate semplicemente come dipoli magnetici, presentano una certa polarità (ad esempio il polo positivo a sinistra e quello negativo a destra) esattamente opposta, nel senso che la parte che precede ha polarità opposta rispetto a quella che segue. Questa polarità si inverte nei due emisferi nel ciclo degli 11 anni successivi: quindi un vero ciclo di attività dura 22 anni circa. Dai magnetogrammi è possibile capire se un certo gruppo di macchie, associata ad una data Regione Attiva, appartiene per esempio ad un ciclo che si va esaurendo piuttosto che a quello nuovo che sta incominciando; è quello che sta avvenendo (se pur con certo ritardo rispetto al periodo teorico degli 11 anni) in questi mesi (Gennaio-Febbraio 2009): è sufficiente osservare la disposizione della zone chiare e scure che rappresentano le polarità delle Regioni Attive e confrontarle con quelle degli anni precedenti.

Si diceva che il disegno è lo strumento più usato per rappresentare la fotosfera. Per eseguire un buon disegno è necessario produrre innanzitutto un ombra che schermi tutto tranne il disco del Sole (chi ha la fortuna di usare telescopi in cupola è messo bene, gli altri devono ingegnarsi un po'...), poi disporre di strumenti con montature e supporti estremamente stabili e motorizzati, che diano un ingrandimento sufficiente per produrre in proiezione un disco solare abbastanza grande. La luminosità di solito rappresenta un problema opposto: spesso si devono diaframmare gli obiettivi per non convogliare troppa luce (io personalmente ho già fuso un paio di oculari per non aver usato questo accorgimento; la mia attrezzatura è molto poco professionale, ciononostante gli oculari nuovi non me li regala nessuno...). Per evidenziare ombre e penombre delle macchie (che è la cosa più difficile da fare) è bene usare una matita con una mina abbastanza morbida per realizzare la penombra sfumandola dove serve, poi marcare bene le macchie al suo interno con una penna ad inchiostro di china (i cosiddetti Rapidograph "usa e getta", con pennini da 0.1 massimo 0.2). Ovviamente questo non è un comandamento: ci sono persone che preferiscono usare due matite, una più dura per le macchie ed una più morbida per le penombre, altri ancora riescono a fare il disegno utilizzando una sola matita, ma bisogna essere davvero molto molto bravi per fare questo. Più il disegno è riprodotto fedelmente più è utile per stimare gruppi e macchie e calcolare il numero di Wolf del giorno dell'osservazione. E' molto importante la costanza delle osservazioni: se le condizioni del cielo lo permettono il Sole va guardato ogni giorno, possibilmente tutti i giorni dell'anno; se non si osservano gruppi o macchie il disegno va fatto lo stesso, corredato con tutte le informazioni che servono anche se alla fine compare un desolante zero al posto del numero di Wolf e la triste scritta "no sunspots" (niente macchie ... ) che molti osservatori piazzano al centro di un disco solare tanto pulito da sembrare lavato con la candeggina. Poi però arrivano tempi diversi e la fatica che si fa per realizzare un buon disegno a volte fa rimpiangere quel "no sunspots", ma questo fa parte del gioco e chi ha la passione di osservare il Sole lo sa bene ed è contento lo stesso. Nella sezione Downloads, tra il materiale messo a disposizione degli Studenti dell'ISIS, è possibile scaricare una piccola guida che spiega come si può compilare correttamente un modello di disegno della fotosfera. In questa guida viene spiegato anche come effettuare la classificazione dei gruppi, usando uno schema conosciuto come Classificazione di Zurigo, anche se esistono e vengono impiegati altri diversi metodi di classificazione.

Non solo macchie....

L'attività del Sole è molto variegata e complessa e va ben al di là del fenomeno delle macchie che abbiamo esaminato fin qui. Tipici e famosi esempi di attività della stella sono per esempio i flares: si tratta di fenomeni transitori (la loro durata va da qualche minuto a poche ore, dipende da quale porzione dello spettro elettromagnetico si considera), nei quali sono in gioco energie paragonabili addirittura a milioni di esplosioni di ordigni nucleari (quelli inventati dagli "umani"). Nelle immagini della cromosfera e della corona appaiono come zone estremamente brillanti. I flares vengono suddivisi in classi  in base alla loro luminosità, invece che secondo la loro morfologia, come invece si fa nel caso dei gruppi di macchie, ed alle frequenze di luce nelle quali compaiono (tipicamente i Raggi X per quelli più intensi e la cosiddetta Riga H-Alfa dell'Idrogeno in luce visibile). Appaiono con più frequenza nei periodi di massima attività solare (anche parecchi al giorno) e si diradano quando il Sole si "tranquillizza" (in media uno alla settimana). Quelli cosiddetti di classe X ( i più "energetici") tendono invece a presentarsi maggiormente nella fase calante di un ciclo di 11 anni, anche se il loro numero è sempre piuttosto piccolo. Associate ai flares si possono a volte osservare onde d'urto spettacolari (dette Onde di Moreton quando si accompagnano anche ad emissione di materia nella corona) che qualcuno ha battezzato gli Tsunami del Sole e che si propagano nella stella quasi come quelle generate da un sasso lanciato nell'acqua, alle quali assomigliano da un  punto di vista visivo (ma non certo per la loro origine). Se volete avere un'idea di come può apparire una cosa del genere date un'occhiata QUI. Un flare è un po' come una bomba ad orologeria: può impiegare molto tempo per accumulare energia e poi rilasciarla all'improvviso. Spesso (ma è sbagliato in effetti) i flares di energia inferiore ad un certo limite sono detti semplicemente brillamenti: per essere più precisi, il termine brillamento viene correttamente usato per indicare l'aumento di emissione in luce visibile associato ad un flare. In molti casi il termine flare e il termine brillamento sono considerati sinonimi (essendo più o meno il secondo la traduzione in italiano del primo), ma come abbiamo visto non è proprio esattamente così: oltretutto un flare è considerato tale solo se interessa una regione dell'emisfero visibile del Sole ed una luminosità rispetto al fondo (background)  superiori a delle opportune "soglie" prefissate.

Un'altro fenomeno decisamente spettacolare sono le protuberanze: si tratta di getti di plasma lanciati nello spazio dalla cromosfera, che si estendono verso la corona. Si formano nell'arco di qualche ora e possono durare anche qualche giorno. Spesso si "spezzano" e si accompagnano a flares e brillamenti di grandi dimensioni. Anche loro sono più facilmente osservabili al "bordo" del Sole ed alcune sono davvero impressionanti: può capitare di osservarne (o meglio, se si riesce ma non è facilissimo,  fotografarne) anche di dimensioni vicine a quelle del "raggio" del Sole, quindi di circa mezzo milione di Km. o più. Le protuberanze si distinguono tra "eruttive" e "quiescenti": le prime sono di durata piuttosto limitata, le seconde sono osservabili per più tempo, a volte anche per qualche giorno. Se vi chiedete cosa possa "vincere" il campo gravitazionale del Sole, che dovrebbe far "ricadere" rapidamente una protuberanza verso le parti inferiori dell'atmosfera della stella, la risposta si trova ancora una volta nelle proprietà del campo magnetico. L'interazione tra il moto del plasma solare ed il campo magnetico della stella produce una forza (forza di Lorentz) che si dimostra essere diretta verso "l'esterno" del Sole, compensando così (fin quando le riesce) l'effetto della forza di gravità del Sole. Le protuberanze si osservano con tecniche e filtri particolari, nelle frequenze dell'ultravioletto intorno ai 30 nm oppure nell'emissione di una frequenza particolare dovuta all'Idrogeno (H-Alfa). Potete vedere una spettacolare protuberanza cliccando QUI, ma dovete avere pazienza, si tratta di un file.mov (riproducibile quindi con players come Quick Time) di 15.5 MB, pertanto richiede un certo tempo per essere scaricato, aperto e visualizzato. Se non avete un player adatto installato sul vostro pc, potete reperirne facilmente uno in rete. Gli strumenti adatti all'osservazione e alla fotografia delle protuberanze sono molto costosi: il loro prezzo supera abbondantemente quello di un intero telescopio semi professionale, specialmente se hanno una "banda passante" stretta, cioè se "tagliano" più accuratamente tutta la radiazione per così dire parassita, lasciando passare solo quella nella quale le protuberanze hanno la loro massima emissione. Non mancano comunque strumenti dal prezzo decisamente più abbordabile, che offrono comunque buone prestazioni anche in rapporto al loro costo ed alla banda passante non strettissima che offrono. Purtroppo sono poco adatti per la fotografia astronomica, ma danno grande soddisfazione ugualmente all'osservazione visuale. Le protuberanze, così come le macchie, sono conteggiate dagli osservatori più assidui ed appassionati ed hanno a loro volta dei tipi di classificazione. Per il conteggio viene valutato il cosiddetto "Indice di attività al lembo", che si calcola, con le dovute differenze, più o meno come il numero di Wolf per le macchie solari. La classificazione può seguire (come del resto anche per le macchie) diversi schemi, tra i quali i più conosciuti sono quelli di Volker e di Zirin. Nella sezione Documenti del sito è disponibile una pubblicazione esplicativa su questo argomento.

La corona è a sua volta sede di eventi a volte particolarmente "drammatici" dal punto di vista energetico: si tratta delle EMC (CME se vogliamo usare l'acronimo originale inglese Coronal Mass Ejections) o Emissioni Massive Coronali. Anche qui siamo in presenza di plasma per così dire "espulso", sparato come si dice in gergo, dal campo magnetico del Sole e costituito da elettroni, protoni e quantità residue di ioni  e nuclei di altri elementi: se volete vederne una cliccate QUI. A volte gli EMC sono diretti verso la Terra e possono provocare al loro arrivo dei disturbi soprattutto di tipo elettromagnetico. Un'altra cosa evidente in corona sono i buchi coronali, zone dell'atmosfera della stella da cui proviene meno radiazione (sono osservabili molto bene soprattutto nei Raggi X). Durante i minimi dei cicli si presentano soprattutto ai poli, poi tendono ad estendersi verso l'equatore del Sole mano a mano che il ciclo procede verso il massimo. Ai buchi coronali è associata l'emissione del vento solare, costituito da fasci di particelle molto energetiche. Questa roba viaggia nello spazio a velocità a volta impressionanti (anche fino a 1500 Km. al secondo) e quando raggiunge la Terra ne disturba il campo magnetico (la cosiddetta magnetosfera), letteralmente comprimendola nella direzione da cui arriva e "stirandola" in quella opposta. I risultati di questa interazione spesso sono il disturbo o addirittura l'interruzione di trasmissioni radio o il danneggiamento di satelliti, mentre l'effetto più spettacolare prodotto è quello delle aurore, boreali o australi che siano. Quando questi fenomeni sono particolarmente intensi, ed associati a forti emissioni di radiazione nel dominio delle onde radio (detti radio-bursts) e non solo si parla, con un termine molto pittoresco ma realistico, di tempeste solari. Esiste una vera e propria "meteorologia solare" che studia il "tempo" sulla nostra stella, con tanto di osservazioni e previsioni, proprio come si fa con il meteo terrestre. Però nessuno ce le fa vedere in TV dopo i vari telegiornali ...

Per arrivare ad una conclusione di questo discorsetto che potrebbe durare quasi all'infinito, tante sono le cose che potrebbero essere dette a diversi livelli di approfondimento, resta da chiederci se le nostre macchie solari sono in qualche modo connesse con tutto il resto dell'attività solare. La risposta ovviamente è sì, tanto che i Numeri di Wolf calcolati dal SIDC (detti SSN, SunSpot Numbers) vengono quasi sempre usati come parametro per correlare tra loro i molteplici aspetti dell'attività solare, però si deve cercare di capire bene cosa c'è realmente dietro  questa affermazione. Un denominatore più o meno comune di tutti i fenomeni che avvengono sul Sole è di certo la variazione del suo campo magnetico (detto sempre per semplificare), quindi uno potrebbe aspettarsi che quando vengono osservati eventi traumatici come forti flares o protuberanze ci debbano essere in giro anche macchie e gruppi. Sempre banalizzando molto, l'osservazione che mi viene spontanea a riguardo è "può darsi, ma non sempre". Quando si osservano nella cromosfera e nella corona (magari grazie ad un giro sul sito di SDO) delle zone brillanti (le Regioni Attive), si spera sempre che ci sia la cosiddetta "controparte fotosferica" (photospheric counterpart), ossia le macchie, ma questo non sempre accade. E' quindi importante conoscere quanto avviene in cromosfera ed in corona, osservarlo regolarmente, ma non si deve dimenticare che le macchie nascono, si evolvono e spariscono nella fotosfera, quindi è solo dalle immagini di quest'ultima, oltre che ovviamente dalla sua osservazione diretta con gli strumenti adatti, che si può avere la certezza che "sotto" agli eventi cromosferici e coronali ci siano le macchie.

E per finire davvero, un'osservazione che mi sembra doverosa: spesso mi capita di citare SDO come fonte preziosissima di dati per così dire "osservativi", tante sono le immagini della nostra stella, in tempo praticamente reale, che possono essere viste con soli pochi click di mouse. Lo faccio con uno spirito diciamo ... didattico, divulgativo, ma si deve stare attenti a non farne un abuso. Mi spiego meglio: se prima di puntare il telescopio od il binocolo verso il Sole gli do una "sbirciatina" grazie a SOHO, ed ho la fortuna di incappare in una giornata in cui ci sono macchie, magari piccoline, state tranquilli che se anche con i miei strumenti non fossi in grado di risolverle, il mio occhio le vedrebbe lo stesso, tanto sa già dove sono e dove si aspetta di vederle. Si rischia insomma di cadere in una sorta di condizionamento psicologico, nel quale l'osservatore, pur di non ammettere che non vede macchie dove l'osservatorio orbitante le ha fotografate, magari piuttosto se le inventa ... Quindi forse sarebbe meglio fare il contrario: compiere le proprie osservazioni, con i propri limiti e quelli degli strumenti che si usano e poi se proprio si vuole, dopo fatto il disegno ed averlo archiviato, usare SDO come "controparte accreditata". Se le cose più o meno coincidono tanto meglio; in caso contrario vietato arrabbiarsi con se stessi e soprattutto vietatissimo stracciare e rifare il disegno....



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